Il sistema delle Denominazioni di Origine dei vini che per molti anni ha svolto un ruolo significativo per definire livelli accettabili di qualità e riconoscibilità, mostra già da qualche tempo debolezze preoccupanti.
I processi di globalizzazione stanno determinando grandi cambiamenti nelle abitudini di vita e nei gusti delle persone, anche in riferimento al rapporto con il vino.
Oggi, per il largo consumo, al centro dell’attenzione non si pongono più i valori della identità e della riconoscibilità, ma quelli della più ampia fruibilità, adatta a soddisfare le esigenze di grandi masse di consumatori orientate, semmai, dalle mode ciclicamente create e contraddette dai “guru” della comunicazione.
L’affannosa rincorsa degli umori del mercato si rivela, alla lunga, insostenibile.
In viticoltura il tempo scorre lento e nessuno può modificarlo per adattarlo alle supposte preferenze del cliente. Le mode sorgono e passano mentre la scelta di impiantare vitigni che le assecondino sarà sempre inadeguata alla velocità dei cambiamenti.
Tali insormontabili contraddizioni dimostrano l’assurdità dell’utilizzo delle leggi di mercato come unico orientamento in viticoltura ed enologia.
La viticoltura che si pretende “di qualità”, liberata dai condizionamenti del mercato, necessita, tuttavia di riferimenti forti che la rendano capace di farsi riconoscere e di affermarsi.
Il sistema delle denominazioni non garantisce tutto ciò perché non è in grado di definire attendibili criteri di qualità e riconoscibilità.
La “zonazione” tenta di definire quei criteri e quei valori che la “denominazione”, così come oggi concepita, non esprime. Criteri e valori legati alle diversità ed alle peculiarità della geologia, del suolo, del clima e dell’ambiente in generale, flora e fauna comprese.
Lo studio e l’approfondimento di queste diversità offrirebbe al viticoltore “vero” la grande occasione per delineare in modo chiaro il carattere e lo stile del prodotto scaturito dal proprio lavoro.
Il vino di “terroir” racconta il sentimento della propria identità, libera l’uomo dal disaggio della propria “minorità autoinflitta” che nasce dalla visione di una realtà appiattita ed indistinta.
Non appaia inappropriato il riferimento a Kant che scrive: «il costrutto universale, grazie alla sua immensa grandezza, indefinita diversità e bellezza, porta ad un muto stupore».
Desideriamo che l’amante “colto” del vino, rivolgendo attenzione e sentimento a questa complessità, possa avvicinarsi a quella nobile sensazione di stupore di cui parla Kant.
Noi, artefici dei nostri vini, siamo più che semplici produttori e venditori di qualche bottiglia. Siamo (vogliamo essere) quelli che contribuiscono a creare, coltivare e mantenere vivo questo paesaggio culturale.